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"Selma": la strada per la libertà è lastricata dal coraggio

 

A Hollywood deve essere parecchio diffuso il senso di colpa per le condizioni di vita degli afro-americani. Tre film su temi affini nel giro di un anno non sono pochi: The butler – Un maggiordomo alla Casa Bianca, 12 anni schiavo e ora Selma – La strada per la libertà. Il migliore dei tre è certamente l'ultimo e, finora, il meno premiato.


"Selma": la strada per la libertà è lastricata dal coraggio

Il film della regista afroamericana Ava DuVernay affronta con realismo il tema della marcia del '65 su Selma da parte del movimento per i diritti civili della popolazione nera, capeggiato da Martin Luther King. Non si occulta la violenza e l'odio dei bianchi poveri del Sud e non si demonizza la figura di Malcom X, come in film precedenti del tipo “The butler” del 2013. Ottime le interpretazioni di un cast di grande qualità: Tom Wilkinson, Tim Roth, Oprah Winfrey, Giovanni Ribisi, Cuba Gooding Jr, Carmen Ejogo e David Oyelowo. Il limite dell'opera è purtroppo nel finale che sembra lasciar spazio a un'interpretazione buonista delle capacità di integrazione della società americana. La notte dell'Oscar l'ha premiato solo con un riconoscimento per la canzone “Glory”.

di Stefano Paterna

 

A Hollywood deve essere parecchio diffuso il senso di colpa per le condizioni di vita degli afro-americani. Tre film su temi affini nel giro di un anno non sono pochi: The butler – Un maggiordomo alla Casa Bianca, 12 anni schiavo e ora Selma – La strada per la libertà. Il migliore dei tre è certamente l'ultimo e, finora, il meno premiato.

La pellicola, diretta dalla regista nera Ava DuVernay (premio per la migliore regia al Sundance Film Festival del 2012 per “Middle of Nowhere”), è un film asciutto, con un piglio quasi documentaristico che, pur non oltrepassando i limiti dell'angusta e un po' totalitaria ideologia del sogno americano e della “città illuminata sopra la collina”, li lavora ai fianchi e li slabbra per far filtrare una dose maggiore di realismo. Il film è la ricostruzione di un momento fondamentale della vita e della carriera politica di Martin Luther King: la marcia del 1965 sulla cittadina di Selma in Alabama per richiedere la rimozione degli ostacoli che i razzisti bianchi del Ku Klux Klan, frapponevano per impedire l'accesso al voto alla popolazione di colore del sud degli Stati Uniti.

Molto, molto meglio dell'orribile polpettone melenso di The Butler: un'opera priva di alcun senso, se non quello di far trangugiare agli inermi spettatori la panzana che gli ultimi due secoli di storia americana, avrebbero avuto il solo significato di portare alla presidenza degli Usa il buon Barack Obama, nonostante le malefatte dei teppisti alla Malcom X. 

E, forse, proprio questo stigma del realismo politico ha costituito il maggior ostacolo per Selma nella serata di attribuzione degli Oscar. L'unica statuetta che gli è stata assegnata è stata per la miglior canzone, Glory, con tanto di lacrime al seguito in platea. Ma tant'è...

Eppure il film presentava un cast di tutto rispetto: il britannico Tom Wilkinson nella parte del presidente Lyndon B. Johnson, Tim Roth in quella del governatore George Wallace, Oprah Winfrey della manifestante Annie Lee Cooper, Giovanni Ribisi come consigliere del presidente e David Oyelowo in quella di Martin Luther King.  Da non dimenticare la partecipazione di Cuba Gooding Jr. come avvocato del movimento per i diritti civili. Curiosamente, la Winfrey e Oyelowo erano presenti anche nel pessimo The butler, a dimostrazione che l'interpretazione può fare la fortuna solo fino a un certo grado, dopo di che anche il miglior attore deve essere sostenuto dalla sceneggiatura e dalla regia.

Le interpretazioni sono del resto state tutte molto buone (da sottolineare quella della splendida Carmen Ejogo nel ruolo di Coretta King) e hanno consentito ai singoli caratteri dei personaggi di emergere in tutti i loro bassorilievi. L'opportunismo riluttante di Lyndon Johnson, il razzismo cinico di Wallace, l'umanità di un King esposto alle responsabilità di leader nero e alle debolezze (seppur solo accennate) della propria vita privata.

Anche il dettaglio del trattamento riservato al personaggio di Malcom X rende Selma una narrazione meno stucchevole del solito rispetto alle ultime produzioni hollywoodiane sul tema delle lotte dei neri. Qui il grande militante non appare come una figura “satanica” da contrapporre all'angelico Martin Luther King che si batteva con la non violenza e per l'integrazione, ma come un radicale cosciente del proprio ruolo e disposto all'unità per una battaglia che riteneva anch'egli fondamentale. Un grande merito ulteriore di Selma, è quello di individuare, nel discorso finale di King, il nocciolo duro del razzismo: ovvero la capacità delle èlites sudiste di trascinarsi al seguito la massa dei bianchi poveri che, pur soffrendo la fame, si sono dimostrati disposti a difendere l'unico privilegio loro concesso: quello della pelle.

Il film non nasconde la violenza delle bastonature, degli attentati contro le chiese nere, la cattiveria dei volti deformati dall'odio, ma incontra il limite di fermarsi al discorso di King, lasciando intravedere una possibile interpretazione “buonista”, dove la non-violenza salva in extremis il sogno americano. In realtà, gli eventi successivi, dall'assassinio dello stesso King alle violenze ripetute della polizia contro cittadini neri nei nostri giorni, non avvalorano questa ipotesi con i fatti. Tuttavia, possiamo temere che questa sia la ragione che ha portato alle “lacrime” i partecipanti alla notte degli Oscar.

 

26/02/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Stefano Paterna
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