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Prospettiva internazionale, punto di partenza nazionale

Avendo quale fine la direzione politica in frangenti storicamente decisivi per la propria classe di riferimento, il partito rivoluzionario dovrà avere per Gramsci l’elasticità necessaria a adattarsi ai compiti inediti che impone la fase sulla base dei rapporti complessivi di forza nel paese determinato e sul piano internazionale.


Prospettiva internazionale, punto di partenza nazionale

Come sottolinea Antonio Gramsci, se lo sviluppo storico e la prospettiva dei comunisti sono orientati in senso internazionalista, non si deve perdere di vista che “il punto di partenza è «nazionale» ed è da questo punto di partenza che occorre prender le mosse” [1]. Avendo quale fine la direzione politica in frangenti storicamente decisivi per la propria classe di riferimento, il partito rivoluzionario dovrà avere l’elasticità necessaria a adattarsi ai compiti inediti che impone la fase sulla base dei “rapporti complessivi di forza (…) nel paese determinato o nel campo internazionale” (13, 23: 1604). Se, al contrario, domina “lo spirito di consuetudine” e prevale l’apparato burocratico il partito finisce col diventare anacronistico, e nei momenti di crisi acuta viene svuotato del suo contenuto sociale e rimane come campato in aria” (ibidem). La possibilità stessa d’un profondo mutamento delle condizioni politiche nazionali è strettamente dipendente dall’“equilibrio delle forze internazionali” (6, 78: 746) che, a seconda delle fasi storiche, possono essere di freno o di supporto alle forze progressiste nazionali. È, dunque, indispensabile disporre d’una “forza permanentemente organizzata” in grado di “inserirsi efficacemente nelle congiunture internazionali favorevoli” e queste sono tali proprio perché vi è “la possibilità concreta di inserirsi efficacemente in esse” (13, 17: 1589) [2].

In tali frangenti il richiamo a un astratto internazionalismo nella lotta al capitalismo, che non tenga conto delle specificità nazionali, è aspramente criticato da Gramsci, in quanto molto pericoloso sul piano pratico, poiché può divenire un alibi che impedisce di sviluppare a proprio vantaggio le contraddizioni presenti nei differenti contesti. Tale attitudine favorisce, in primo luogo, il passivo attendismo, come dimostra la storia dei partiti della Seconda Internazionale. Ciascuno dei partiti che ne faceva parte giustificava la propria mancanza di risolutezza, ovvero, come ricorda Gramsci: “nessuno credeva di dover incominciare, cioè riteneva che incominciando si sarebbe trovato isolato; nell’attesa che tutti insieme si muovessero, nessuno intanto si muoveva e organizzava il movimento” (14, 68: 1730). Al contrario, per Gramsci, sebbene il successo di una Rivoluzione dipenda dal complesso dei rapporti fra le classi sociali in una nazione e più in generale dai rapporti di forza sul piano internazionale e dalla posizione geopolitica del paese, tuttavia “le necessità impellenti di un paese dato, in circostanze date” possono portarla alla vittoria “anche internazionalmente” (10, 61: 1360). In secondo luogo Gramsci critica l’astratto internazionalismo trotzkista quale residuo “del vecchio meccanicismo” (14, 68: 1730), in quanto pretendeva che una Rivoluzione affermatasi in un solo paese, se non in grado di espandersi immediatamente a livello internazionale, si sarebbe votata inevitabilmente a una involuzione bonapartista. Questa seconda posizione, secondo Gramsci, “è forse peggiore, perché si aspetta una forma di «napoleonismo» anacronistico e antinaturale (poiché non tutte le fasi storiche si ripetono nella stessa forma). Le debolezze teoriche di questa forma moderna del vecchio meccanicismo sono mascherate dalla teoria generale della rivoluzione permanente che non è altro che una previsione generica presentata come dogma e che si distrugge da sé, per il fatto che non si manifesta effettualmente” (14, 68: 1730). Al contrario il consolidarsi del processo rivoluzionario anche in un solo paese, può contribuire a creare le condizioni internazionali favorevoli all’espansione della Rivoluzione anche in paesi in cui le forze progressive sono “scarse e insufficienti di per sé (tuttavia ad altissimo potenziale perché rappresentano l’avvenire del loro paese)” (ibidem). D’altra parte però, se «tra l’elemento nazionale e quello internazionale dell’evento, è l’internazionale che ha contato di più» (Q 3, 38, 316), il nuovo Stato correrà il rischio d’avere scarsa autonomia internazionale.

Al contrario Gramsci ritiene che – secondo il marxismo, sia nella formulazione di Marx e ancora più “nella precisazione del suo più recente grande teorico”, ovvero Lenin – “la situazione internazionale debba essere considerata nel suo aspetto nazionale” (14, 68: 1729). Il partito internazionalista dovrà studiare le determinazioni specifiche e la “combinazione di forze nazionali” per poterle “dirigere e sviluppare secondo la prospettiva e le direttive internazionali” (ibidem) [3].

È, dunque, essenziale “depurare l’internazionalismo di ogni elemento vago e puramente ideologico (in senso deteriore) per dargli un contenuto di politica realistica” (ibidem), dal momento che le concezioni astrattamente internazionaliste sottovalutano il decisivo concetto di egemonia, “in cui si annodano le esigenze di carattere nazionale” (ibidem). A parere di Gramsci “la classe dirigente è tale solo se interpreterà esattamente questa combinazione, di cui essa stessa è componente e in quanto tale appunto può dare al movimento un certo indirizzo in certe prospettive” (Ibidem). Peraltro proprio su tali problematiche si è sviluppato, secondo Gramsci, “il dissidio fondamentale” tra Trotsky e Stalin “come interprete del movimento maggioritario”. Secondo Gramsci le accuse di nazionalismo rivolte dal primo al secondo “sono inette se si riferiscono al nucleo della quistione” (Ibidem).

Sebbene la prospettiva del comunista sia internazionalista, per poter guidare “strati sociali strettamente nazionali (intellettuali) e anzi spesso meno ancora che nazionali, particolaristi e municipalisti (i contadini)”, deve di necessità nazionalizzarsi sino a che non si saranno approntate “le condizioni di una economia secondo un piano mondiale” (ibidem), che consentiranno di superare “le leggi della necessità” (ibidem) caratterizzanti il precedente corso storico.

Tanto dannoso quanto l’astratto internazionalismo è, a parere di Gramsci, l’assenza di un centro propulsore in grado di dare un indirizzo d’insieme ai partiti nazionali, come dimostra ancora la storia della Seconda Internazionale. Poiché fra i partiti che la componevano non vigeva il centralismo democratico, l’ascendenza delle componenti più avanzate della Seconda Internazionale si riduceva a un “influsso culturale astratto e di prestigio molto labile” [4] il quale “non toccava per nulla l’attività effettuale, che viceversa era disgregata, localistica, senza indirizzo d’insieme” (13, 36: 1633). Le stesse concezioni del centralismo organico, per esempio di Amedeo Bordiga, costantemente avversate da Gramsci, hanno la loro origine nella “critica unilaterale e da intellettuali di quel disordine e di quella dispersione di forze” (14, 68: 1139). In altri termini i bordighisti contrappongono un unilateralismo eguale e contrario a quello della Seconda Internazionale, illudendosi di superare i limiti di un semplice e disorganico coordinamento fra partiti nazionali mediante un’unificazione imposta dall’alto di carattere necessariamente burocratico.

 

Note:

[1] Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, edizione critica a cura di Valentino Gerratana, Einaudi, Torino 1977, p. 1729. D’ora in poi citeremo quest’opera fra parentesi tonde direttamente nel testo, indicando il quaderno, il paragrafo e il numero di pagina di questa edizione.

[2] “L’elemento decisivo di ogni situazione è la forza permanentemente organizzata e predisposta di lunga mano che si può fare avanzare quando si giudica che una situazione è favorevole (ed è favorevole solo in quanto una tale forza esista e sia piena di ardore combattivo); perciò il compito essenziale è quello di attendere sistematicamente e pazientemente a formare, sviluppare, rendere sempre più omogenea, compatta, consapevole di se stessa questa forza. Ciò si vede nella storia militare e nella cura con cui in ogni tempo sono stati predisposti gli eserciti ad iniziare una guerra in qualsiasi momento. I grandi Stati sono stati grandi Stati appunto perché erano in ogni momento preparati a inserirsi efficacemente nelle congiunture internazionali favorevoli e queste erano tali perché c’era la possibilità concreta di inserirsi efficacemente in esse” (13, 17: 1588-89).

[3] Come precisa ancora, a tal proposito, Gramsci: “la classe dirigente è tale solo se interpreterà esattamente questa combinazione, di cui essa stessa è componente e in quanto tale appunto può dare al movimento un certo indirizzo in certe prospettive” (14, 68: 1729). Da questo punto di vista diviene evidente, secondo Gramsci, che è il partito nazionalista contrario agli interessi nazionali in un paese poco sviluppato in quanto fa di necessità virtù, ovvero rivendica come identità nazionale proprio gli elementi di arretratezza. Mentre i veri interessi nazionali sono rappresentati dal partito internazionalista perché intende risolvere i problemi del paese mediante l'assunzione delle forme di governo sociale più avanzate dal punto di vista internazionale. 

[4] “L’influsso era sentito e subito da scarsi gruppi intellettuali, senza legame con le masse popolari e appunto questa assenza di legame caratterizzava la situazione” ( 13, 36: 1633).

11/03/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo
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