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Liberismo e pandemie

I virus, i batteri e le malattie in genere non agiscono in un mondo astratto. E la medicina, come le altre scienze, non è neutra. Il mondo reale dell’economia del profitto e del privilegio condiziona totalmente la scienza, la medicina e la produzione e distribuzione dei loro concreti benefici. Il problema dei vaccini, come dei farmaci, non sta tanto nella loro efficacia ormai ben comprovata, quanto in chi li produce e come e a chi sono offerti, ovvero come sono distribuiti. In una società stratificata in classi, in cui la vulnerabilità dei molti rappresenta un’opportunità per i pochi di estorcerne la forza-lavoro minimizzandone il costo, si creano le diseguaglianze globali (per esempio, fra vaccinati e non vaccinati) che poi però si ritorcono contro tutti.


Liberismo e pandemie

Le epidemie ricorrenti provocate dalle malattie infettive hanno da sempre punteggiato la storia dell’umanità, condizionandone pesantemente l’evoluzione sociale ed economica. Sin dall’antichità sono innumerevoli le cronache che riportano il succedersi periodico di ondate pandemiche in grado di decimare intere popolazioni e, in particolare, i loro strati economicamente e socialmente più deboli. I microrganismi patogeni, infatti, non si diffondono nel vuoto, ma interagiscono con l’ospite parassitato e, nel caso della specie umana, colpiscono di preferenza i soggetti più deboli, la cui vulnerabilità è determinata, a differenza degli altri animali, non solo da cause naturali come l’età, ma anche da fattori di discriminazione sociale generati dall’uomo stesso. La povertà è all’origine, da una parte, della denutrizione, che indebolisce gravemente il sistema immunitario, dall’altra, delle condizioni igieniche precarie e della forzata promiscuità, anche con altre specie, che favorisce grandemente i contagi. 

Le pandemie più recenti, a partire dall’Aids, dalla Sars, dai virus Ebola e Zika, per arrivare a quella attuale da Covid-19, costituiscono altrettante prove di quanto appena affermato. 

L’Hiv, agente eziologico della sindrome da immunodeficienza acquisita o Aids, è un virus a trasmissione sessuale che attacca e distrugge proprio quelle cellule del sistema immunitario che, se integre, sarebbero in grado di neutralizzarlo. Ne sono principali vittime le popolazioni più povere del pianeta come quelle dell’Africa subsahariana, con altissimi tassi di letalità fra i giovani in età fertile e potenzialmente più produttiva. Ma a questi si aggiungono tutta una serie di gruppi già discriminati in partenza, come i migranti, i prigionieri, le prostitute, i tossicodipendenti, gli omosessuali, ma anche le donne e le minoranze etniche. Infatti, alla povertà si aggiungono, come fattori di trasmissione, lo stigma che induce alla clandestinità e quindi alla promiscuità, e la prepotenza maschilista che impone alle donne, in posizione d’inferiorità, rapporti sessuali non protetti [1]. Dunque, in un’economia fondata sulle diseguaglianze il virus colpisce più facilmente i soggetti più vulnerabili.

Ma, a penalizzare gli strati più svantaggiati delle varie popolazioni non sono solo le infezioni in sé, ma anche la mancata accessibilità alle strutture di prevenzione e di cura disponibili, sempre meno orientate alla sanità pubblica e sempre più a quella privata. Infatti, a partire dagli anni Ottanta del Novecento, con il prevalere del reaganismo e del thatcherismo, il concetto di salute come diritto ha ceduto via via il passo a quello di salute come bene privato e dunque acquistabile come qualunque altra merce sul mercato. Di conseguenza, già nel caso dell’Aids si è potuto osservare come le ricerche su un possibile vaccino siano state interrotte, o quanto meno molto rallentate, non appena si sono scoperte e affermate le terapie antivirali altamente efficaci (Haart = Highly Active Antiretroviral Therapies). Questi farmaci, infatti, dato il loro costo particolarmente gravoso, benché in grado di soddisfare pienamente le esigenze dei pazienti appartenenti agli strati sociali più elevati dei paesi ricchi, restavano però totalmente fuori dalla portata delle larghe masse, soprattutto nei paesi non industrializzati. Si aprì così un contenzioso molto acceso fra le grandi case farmaceutiche produttrici degli Haart, spalleggiate dai governi occidentali, e paesi come il Sudafrica, l’India, il Messico e il Brasile, cui l’iniquo sistema dei brevetti impediva di immettere sul mercato gli antivirali salvavita a prezzi molto più accessibili, col risultato di condannare a morte per Aids centinaia di migliaia di persone nei paesi più poveri del mondo. Alla fine, si giunse a una soluzione di compromesso; ma, ciononostante, resta il fatto che ancora oggi i paesi del terzo mondo e in particolare quelli dell’Africa subsahariana sono quelli che registrano di gran lunga il maggior tasso di morbilità e mortalità per Aids.

Analogo è il discorso sulla malattia di Ebola, sindrome emorragica acuta gravata da un’altissima percentuale di letalità, che dette luogo a periodiche fiammate epidemiche in Africa centro-occidentale (l’ultima negli anni 2014-2016). Non appena si registrarono i primi casi fra soggetti europei, le case farmaceutiche si affrettarono ad allestire un vaccino, ma le ricerche furono sospese nel momento in cui l’epidemia fu circoscritta e poi spenta nei tre stati africani (Liberia, Guinea e Sierra Leone) in cui si era originata, dopo aver comunque imposto un pesante tributo in vite umane (oltre 10mila morti). Evidentemente, il mercato africano non poteva garantire un ritorno economico adeguato all’investimento richiesto per mettere a punto un vaccino anti-virus Ebola.

Una situazione analoga, sempre dovuta alla logica dell’economia del profitto, si sta verificando con i vaccini contro il virus Sars-Cov2, responsabile della pandemia attuale. Sin dall’inizio dell’epidemia, nei primi mesi del 2020, ingenti capitali pubblici sono stati messi a disposizione delle grandi imprese farmaceutiche per sviluppare vaccini efficaci che potessero arginare il diffondersi dei contagi e quindi abbattere l’elevato tasso di morbilità e mortalità a essi collegato. Ma non si è considerato che il virus non conosce frontiere né fa distinzioni di classe, per cui lo sforzo di prevenire la malattia nei paesi industrializzati viene inevitabilmente vanificato dal dilagare dell’infezione fra coloro che non possono permettersi il costo del vaccino e, conseguentemente, dall’emergere e dalla circolazione planetaria di sempre nuovi ceppi mutanti del microrganismo, a esso potenzialmente resistenti

Del resto, il contrasto fra le esigenze di profitto della sanità privata e il soddisfacimento dei bisogni dei cittadini si è manifestato in tutta la sua drammaticità sin dall’inizio della pandemia con le disastrose conseguenze in termini di mortalità da Covid-19 nelle regioni come la Lombardia, in cui la scellerata politica di smantellamento della medicina del territorio e dei reparti ospedalieri di base aveva creato le condizioni ideali perché il virus potesse compiere inostacolato la sua azione distruttrice (si veda su questo giornale La catastrofica gestione della pandemia nell’Italia liberista di R. Caputo, 28 XI 2020).

In realtà, il neoliberismo selvaggio attualmente imperante a livello planetario non è responsabile solamente delle macroscopiche diseguaglianze sociali che, come s’è visto, rendono particolarmente vulnerabile al virus la parte più svantaggiata dell’umanità, ma ha anche contribuito e continua a contribuire attivamente all’emergere, a ritmi sempre più incalzanti, di microrganismi patogeni generatori di pandemie. Infatti, gli agenti delle recenti fiammate epidemiche, a partire dal virus dell’Aids e quelli della Sars, dell’influenza aviaria, dell’Ebola, dello Zika fino all’attuale Covid-19, oltre agli stessi virus influenzali, sono tutti di origine animale; si tratta cioè di antropozoonosi, caratterizzate dal cosiddetto “salto di specie”, cioè dall’adattamento all’uomo di microrganismi parassiti di altri animali. 

Del resto, era stata proprio la convivenza con gli animali domestici e, con il passare delle generazioni, il conseguente graduale rafforzamento adattativo delle difese immunitarie verso i microrganismi patogeni delle specie addomesticate che aveva favorito, nei millenni, il maggiore sviluppo delle società basate sull’agricoltura e l’allevamento rispetto a quelle dei cacciatori/raccoglitori [2]. Viceversa, il colonialismo, esponendo bruscamente a queste stesse infezioni (morbillo, varicella, influenza ecc.) le popolazioni soggiogate, del tutto indifese dal punto di vista immunitario, provocò epidemie tanto letali e devastanti che ancor oggi i paesi del terzo mondo ne soffrono le conseguenze. 

Negli ultimi decenni, le cause delle sempre più frequenti ondate epidemo-pandemiche vanno ricercate precisamente in quei fattori speculativi tipici della globalizzazione capitalistica quali le urbanizzazioni di massa, che mettono gli esseri umani a diretto contatto con le specie silvestri normalmente confinate nella giungla, e le deforestazioni selvagge propedeutiche agli allevamenti intensivi, ottimo terreno di coltura per una grande varietà di microrganismi potenzialmente patogeni. 

Da quanto detto risulta dunque sempre più evidente l’inadeguatezza di un sistema politico che affida all’economia del profitto privato la risoluzione di problemi, sanitari e più in generale ecologici, riguardanti il genere umano nel suo complesso.

 

Note:

[1] Facing the Future Together: Report of the Secretary General’s Task Force on Women, Girls and Hiv/Aids in Southern Africa, https://data.unaids.org/publications/irc-pub06/jc380-facingfuture_en.pdf.

[2] J. Diamond, Armi, acciaio e malattie, Einaudi, Torino, 2014. 

29/01/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Paolo Crocchiolo
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