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La lotta teorica è prassi - parte II

Solo un partito guidato da una teoria di avanguardia può adempiere la funzione di combattente di avanguardia”


La lotta teorica è prassi - parte II
di Francesco Schettino

“Solo un partito guidato da una teoria di avanguardia può adempiere la funzione di combattente di avanguardia” (V.I. Lenin, Che fare? 1902) : brevi riflessioni sul ruolo della teoria rivoluzionaria.

segue da parte I

Nel socialismo moderno

Senza dubbio, dunque, per organizzare un movimento che possa aspirare ad avere un ruolo rivoluzionario, non nell’immediato, ma almeno in una prospettiva pluridecennale o secolare, diviene di straordinario rilievo porre l’accento sulla lotta teorica, ossia sulla battaglia delle idee. Abbandonare questo piano o, al più subordinarlo al più soddisfacente lavoro di natura politica o economica (sindacale), specie in una fase non-rivoluzionaria come quella che riguarda l’inizio di nuovo millennio, sarebbe un errore “capitale” per le ragioni già esposte.

Ma la questione può essere osservata capovolgendo la prospettiva, ossia tentando di valutare l’importanza della questione teorica anche dal punto di vista dei paesi che la rivoluzione l’hanno già fatta nel passato e che oggi possono definirsi socialisti. Se per quanto riguarda la Repubblica popolare cinese il cosiddetto (male) “socialismo di mercato” sembra assumere dei connotati sempre più prossimi ad un capitalismo di stato – e per questo non deve sembrare una contraddizione che nelle università locali vengano studiati prevalentemente modelli economici neoclassici (ossia quelli più reazionari) – una discussione ben differente può essere affrontata per quel che concerne Cuba.

Almeno dall’inizio degli anni novanta, definito non a caso periodo especial, si parla in tutto il mondo delle sorti del socialismo cubano, che, restato orfano di quello che, di fatto, era il principale finanziatore della Cuba post-rivoluzionaria, ossia proprio l’Urss, subita una contrazione straordinaria della propria ricchezza e delle risorse a sua disposizione. Immediatamente furono in molti a pensare a un effetto “domino” che dall’oriente europeo avrebbe avuto un analogo esito anche sull’isola caraibica riportando al potere “tutta la vecchia merda”[1], nel frattempo protetta in territorio statunitense, bramosa di ritornare ai posti di comando. Come è noto, però, le cose sono andate in maniera differente e dopo aver attraversato un periodo di straordinarie difficoltà, si è approdati al nuovo millennio ed in particolare al 2011 quando, in concomitanza col vi Congresso del partito comunista cubana si sono implementate le prime riforme che hanno definitivamente “aperto”, seppure con un processo molto progressivo e oculato, all’ingresso di capitale straniero – solo in alcuni settori ed in compartecipazione con cubani – e, dal 2016, vii Congresso, anche alle piccole e medie imprese private. Inoltre, l’inizio delle negoziazioni per la rimozione dell’embargo culminata nel 2016 con la visita di Obama, ha stimolato molti, e talvolta disinformati, dibattiti sulla possibilità che tutte queste presunte “aperture” possano metter fine al socialismo. In altri termini, in forma ancora più rozza, la tesi prevalente sostiene che una volta aperta l’economia cubana al capitale statunitense, il sistema socialista subirebbe un inevitabile capovolgimento dovuto alla capacità del dollaro Usa di comprare qualsiasi cosa, anche la coscienza delle persone.

Per quanto questo tipo di visione possa essere vittima di uno schematismo eccessivamente rigido, sia perché la cosiddetta “apertura”, come viene immaginata, ancora non è neanche all’orizzonte (così come l’eliminazione dell’embargo) sia perché fornisce al dollaro Usa un ruolo che forse travalica la sua reale forza, sicuramente può esserci qualcosa di vero: è innegabile, altresì, che la penetrazione graduale del capitale straniero, la proliferazione dei cosiddetti cuentapropristas(lavoratori autonomi legati spesso al proficuo settore turistico) che stanno accumulando significative ricchezze e la disponibilità di avere finalmente contatti con l’estero e con la stampa attraverso internet sono, questi, solo alcuni dei fattori di potenziale destabilizzazione dell’assetto politico ed economico locale.

Indipendentemente dall’analisi statistica dei dati, che alcune fasce della popolazione cubana stiano guardando sempre con crescente speranza in direzione Miami, è cosa evidente a chiunque abbia intenzione di approfondire l’analisi scevro da filtri ideologici o nostalgici. In termini semplificati, dunque, alla luce degli elementi già accennati, la domanda da porsi dovrebbe essere: perché un giovane ventenne dell’Avana dovrebbe aderire ai discorsi di Raul Castro e non rimanere affascinato dall’apparente carisma del giovane e ammaliante Obama? Per quanto la questione generazionale rappresenti sempre una chiave di lettura limitata ed imprecisa, è innegabile che, chiunque abbia avuto modo di camminare per le strade della capitale cubana e parlare con gli abitanti non ha potuto ignorare un’evidente frattura tra coloro che sono figli dei primi anni della rivoluzione (o che l’hanno vissuta) e coloro che sono nati all’incirca dopo il 1980 (di fatto, i millenials cubani). Se i primi, nonostante inevitabili critiche, sono coscienti della portata della rivoluzione cubana e degli effetti benefici che essa ha avuto su tutta la popolazione, opinioni divergenti spesso vengono espresse dagli altri, i più giovani, che danno francamente l’impressione di preferire all’iconografia dei Castro, di Cienfuegos e del Che, la bandiera a stelle e strisce.

Volendo evitare di fornire interpretazioni frettolose e ideologiche alla cosa, ci sembra importante fare un passo indietro per tentare di capire come, proprio dall’inizio degli anni novanta il socialismo cubano, sia profondamente cambiato, per certi versi più profondamente di quanto stia avvenendo ora, generando, di fatto, le radici del fenomeno che stiamo tentando di analizzare.

Sicuramente, da questo punto di vista, il processo di revisione costituzionale del 1.7.1992 ha sancito un inevitabile ed insanabile allontanamento dal socialismo dalla sua accezione reale e scientifica, rimanendo relegato, sostanzialmente, ad un riferimento quasi essenzialmente ideologico: concordiamo esattamente con Carla Filosa quando sostiene che “gli articoli 5, 6, 7, 10, ecc. ripongono continuamente nello stato un immaginario socialista rattrappito a condizione necessaria, ma assolutamente insufficiente a definire i termini dell’attualizzazione della lotta di classe. Al di là di una conservazione di identità rassicuranti o consolatorie, non si ravvisano elementi di ricostruzione di strumenti per continuare tale lotta entro le condizioni poste dalle leggi dell’accumulazione. Le costituzioni hanno sempre avuto il compito di costituire un ostacolo alla comprensione della storia reale, in quanto riflettono soltanto - non sono - i rapporti di forza concretamente operanti”[2].

In altri termini, in quel periodo il riavvicinamento al cattolicesimo – famiglia come “cellula fondamentale della società...”, Cap. iv – e soprattutto l’abbandono teorico del marxismo soppiantato in maniera pressoché definitiva da un patriottismo socialista, come quello impersonato da José Martì e dagli altri fautori dell’indipendenza cubana, o anche al bolivarismo [3] in termini continentali, sono elementi che hanno influito profondamente sul cambiamento di prospettiva e di mentalità i cui risultati più evidenti si riscoprono nelle opinioni delle nuove generazioni. Anche dal punto di vista accademico, le discussioni in ambito marxista sono straordinariamente limitate: il numero delle riviste teoriche di marxismo, ossia quelle che propongono spunti di riflessione indiscutibilmente coerenti con la teoria, è straordinariamente basso e probabilmente più limitato di quelle europee. Del resto, girando per l’Avana è possibile avere un impatto visivo di questo di tipo di impostazione: è possibile infatti osservare centinaia di migliaia di busti di Martì in ogni angolo della città, mentre le tracce di Marx si recuperano solamente in un imponente teatro in un quartiere non particolarmente centrale della città, mentre a Lenin è dedicato un parco e il più importante liceo probabilmente dell’isola (che però non si trova in città). Da questo punto di vista, paradossalmente, una città come Berlino fornisce elementi sicuramente di maggiore riconoscibilità al marxismo-leninismo.

La risposta alla domanda che ci siamo posti precedentemente è dunque coerente con tutto ciò che abbiamo tentato di proporre in questo articolo e potrebbe essere così impostata: finché le basi teoriche fornite dall’encomiabile sistema scolastico ed universitario cubano sbilanceranno il proprio baricentro nell’adulazione di importanti personaggi come José Marti o Antonio Maceo a discapito di quello che è appunto il solo strumento utile per comprendere la superiorità dialettica del socialismo rispetto al capitalismo, ossia il marxismo, i giovani cubani non disporranno di armi per difendersi dal canto ammaliante della bellissima sirena statunitense a svantaggio della pur affascinante, ma molto più malmessa (solo in apparenza), socialdemocrazia cubana.

Solo se tutto il popolo cubano, dunque anche quello inserito nelle fasce di età più giovanili, sarà in grado di comprendere quali sono effettivamente le straordinarie vittorie della rivoluzione allora il socialismo potrà essere tutelato e migliorato; solo quando sarà chiara ai giovani che affollano il Malecòn la reale differenza che esiste tra il capitalismo, che non è solamente la vetrina luccicante delle strade di Manhattan o di Miami, ma la miseria diffusa in tre quarti del globo, e un modo di produzione privo di dominio di classe e sfruttamento, solo allora il sistema cubano potrà sentirsi al riparo dagli attacchi esterni. In sintesi, la teoria rivoluzionaria è lo strumento necessario (benché non sufficiente) per proteggere realmente il socialismo dall’attacco degli squali del capitale, così come è necessario per impostare lotte rivoluzionarie non solo in apparenza nei paesi a capitalismo avanzato. Solo un popolo cosciente e istruito ai princìpi del socialismo scientifico può essere in grado di difendere le straordinarie vittorie della rivoluzione del 1959, nei limiti delle inevitabili contraddizioni che “il comunismo come fenomeno locale” genera soprattutto dinanzi ad un capitalismo famelico che, dopo la fine dell’esperienza sovietica ha pervaso ogni angolo del globo e brama per concludere l’opera.

Note

  1. Gf. Pala, Perché non ritorni la vecchia merda, Punto Rosso, Milano 1993.
  2. Per un maggior approfondimento del tema si veda anche C.Filosa, “La transizione nella nuova costituzione cubana”, il lavoratore 22/23, Varese 1994.
  3. “Veder celebrato come un Napoleone, il più vile, il più volgare e il più miserabile straccione, era un po’ troppo. Bolivar è il vero Soulouque (imperatore di Haiti, ndr)”. [Karl Marx, Lettera a Engels, 14.2.1858]

09/07/2016 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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