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L’immagine artistica tra politica e società: tutti i proletari del pianeta

Musica, cinema, fotografia: il linguaggio cambia, si evolve, ma il concetto di sfruttamento rimane.


L’immagine artistica tra politica e società: tutti i proletari del pianeta Credits: Imma Tatullo, Nelle tue mani, dipinto (eventiculturalimagazine.com)

A molti addetti ai lavori parlare di lavoro risulta estremamente facile. Basta sfogliare un quotidiano qualsiasi, ogni giorno, e la parola lavoro si manifesta decine di volte, così tanto e da soggetti così inqualificabili che la parola di per sé si svuota di qualsiasi significato storico e sociale. Un esempio: lavoro precario, morti sul lavoro, lavoro nero, lavoro sporco, riforma del lavoro, lavoro sottopagato, lavoro a progetto - ah quanto lo amo - fino all'ultimo, meraviglioso termine inglese jobs act, che ci fa sentire tanto internazionali, ma che ci fa vedere così piccoli e insignificanti. Noi italiani riusciamo ad essere creativi anche nella povertà intellettuale, siamo straordinari.

Però un attimo, ma non dovrebbe essere questa la rubrica sull’immagine artistica tra politica e società? In effetti lo è, ma per parlare di questo, oggi non voglio iniziare da una fotografia o un film, ma dalla musica. Che poi, in fondo, riesce sempre a creare immagini, le plasma e le rende quasi reali al tatto. La musica in questo caso sta proprio nel titolo.

Tutti i proletari del pianeta, infatti, è il tredicesimo brano di un disco meraviglioso, Sciopero, suonato nel 2001 dagli Yo Yo Mundi come colonna sonora dell'omonimo e straordinario film del 1925 di Sergej Ėjzenštejn (eh si proprio quello di fantozziana memoria...). Una melodia fin troppo semplice nella sua bellezza, le tastiere e la fisarmonica che si alternano e una batteria che scandisce i passi di piedi incatenati, il tutto va in loop, quattro minuti e venti di ammaliante ed inquietante poesia sonora, a scandire la marcia stanca dei lavoratori.

Si è già creata un'immagine, fortissima, che mi riporta all'inizio, a quella lista infame di definizioni di lavoro. È così tanto diverso ora, a distanza di un secolo? Cosa accomuna, quali sono i punti di contatto tra le varie definizioni, cosa nasconde il mondo del lavoro oggi che non riusciamo a comprendere e a percepire a pieno? Di certo, la tecnologia avanzata ha aperto centinaia di settori diversi, così come il capitale invisibile dell'alta finanza nei paesi occidentali ha permesso (a pochi) di migliorare enormemente le proprie condizioni di vita. Ma una cosa, secondo me è stata estremamente sottovalutata. Noam Chomsky, nel suo altissimo monologo nel documentario Requiem for the American dream (2015) afferma: “La solidarietà è un fattore pericoloso per l'élite facoltosa, poiché alimenta iniziative di assistenza pubblica come l'istruzione e la sicurezza sociale”.

Eccolo il punto centrale, ecco cosa è venuta a mancare non solo nel mondo del lavoro, ma nel profondo della società stessa: la solidarietà. La solidarietà è stata un sentimento cosciente, è la coscienza stessa del comune destino e del possibile riscatto sociale. Questo tema sta purtroppo coinvolgendo qualsiasi campo della società moderna, e non è un caso che oggi la propaganda neofascista sia così forte e stia riprendendo pericolosamente piede; le due cose sono strettamente collegate.

Quando il fascismo, infatti, venne a stroncare quel moto di solidarietà di classe nato dalle ceneri della prima guerra mondiale, fu messa in causa e presa di mira proprio la solidarietà come valore politico sociale, e l'idea stessa di una solidarietà nata dalla comune condizione lavorativa. Oggi sta succedendo la stessa identica cosa. La ri-propongono in maniera diversa e col sorriso beffardo sulle labbra (vedi Macron e Renzi), ma il risultato è esattamente lo stesso.

Prendiamo ad esempio La Classe Operaia va in Paradiso, film di Elio Petri del 1971. Si parla di classe operaia, proletariato, lotta di classe, borghesia: sono cambiate probabilmente le modalità, dal lavoro a cottimo siamo passati al voucher, ma il concetto di sfruttamento è identico a oggi. Il lavoro come perdita del senso della ragione e della realtà, il totale annientamento dell’uomo.

Oggi del resto, quando la tua casa diventa proprietà di una banca che decide di farti fuori e lasciarti per strada (com'è accaduto in Spagna con la bolla immobiliare degli ultimi anni), quando lavori 50 ore a settimana senza uno straccio di contratto, quando non hai un minimo di riconoscenza e gratificazione sul posto di lavoro, quando vieni licenziata perché sei incinta, quando hai fatto mille sacrifici per essere una persona valida e sai di meritare quel posto ma te lo vedi sfilare da un parente o un conoscente del datore di lavoro, quando sei costretto a lasciare il tuo paese per lavorare in un call center in Germania perché è comunque meglio, quando muore qualcuno in fabbrica tra il silenzio generale, quando un imprenditore si suicida perché non riesce a pagare gli stipendi ai propri operai, quando centinaia di immigrati vengono schiavizzati nelle piantagioni della mafia, quando succede tutto questo, lo svilimento e la perdita della dignità dell'essere umano equivalgono a una bottiglia di olio di ricino e alle peggiori purghe fasciste.

E allora, la scelta di partire da quelle catene in sottofondo di Tutti i proletari del pianeta non era poi così sbagliata, quelle catene acquistano ancora oggi un valore enorme. Riflettono un'immagine contemporanea, reale e verissima, pesante e cupa, del nostro mondo ora.

È tutto perso, dunque? Siamo destinati a fallire e a morire sotto i colpi mortali di un capitalismo agguerrito e che non lascia superstiti? Per rispondere a questa domanda, rifaccio mie le parole di Chomsky: “Ci sono enormi opportunità. È una società ancora molto libera, il governo ha capacità limitata di coercizione. Le corporazioni possono provare a forzare, ma non lo fanno perché non conoscono il modo di farlo. Quindi, c'è molto che può essere fatto se le persone si organizzano, se ricominciano a lottare per i loro diritti come hanno fatto in passato, solo così si possono vincere molte battaglie”.

In conclusione, esiste uno straordinario lavoro fotografico che Uliano Lucas fece sul mondo del lavoro in Italia negli anni '70 del secolo scorso. Foto di fatica e sudore, di manifestazioni e solidarietà, di lotta per i diritti e le uguaglianze. E ieri come oggi, queste foto ci dicono che la lotta non è ancora finita e che sì, ci dobbiamo provare ancora.

Materiale consigliato:

  • Yo Yo Mundi, Sciopero (cd, 2001)
  • Sergej Michajlovič Ėjzenštejn, Sciopero! (1925)
  • Elio Petri, La classe operaia va in paradiso (1971)
  • Uliano Lucas, Negli occhi del lavoro. Economia e cooperazione sociale (2007)
  • Noam Chomsky, Requiem for the american dream (2015)

05/05/2018 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: Imma Tatullo, Nelle tue mani, dipinto (eventiculturalimagazine.com)

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L'Autore

Emiliano Jatosti

Emiliano Jatosti, nato a Roma nel 1981, sviluppa fin dall'infanzia una forte sensibilità verso le arti figurative. Fotografo professionista ed educatore all'immagine, antropologo per passione, ha realizzato il primo documento esistente sulla zona rossa de l'Aquila post-terremoto. Dal 2011, ha vissuto tra Roma, Berlino e Barcellona. Da sempre con la valigia pronta, fa del viaggio la sua ragione di vita, del cinema e della fotografia il modo di raccontarla.

Sito web: www.emilianojatosti.com
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