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Azione e Pensiero

La mostra attualmente in corso al MACRO di Roma ripropone lo straordinario e poliedrico percorso dell’artista Toti Scialoja, che ha spaziato come pochi nell’incredibile vicenda artistica del Secondo Novecento italiano ed internazionale. 


Azione e Pensiero Credits: @Emanuela Zibordi su www.flickr.com , licenza CC https://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/2.0/

La mostra attualmente in corso al MACRO di Roma ripropone, con una accorta acribia filologica, lo straordinario e poliedrico percorso dell’artista Toti Scialoja, che ha spaziato come pochi nell’incredibile vicenda artistica del Secondo Novecento italiano ed internazionale.  

di Paolo Cellamare

Con questo titolo – dal retrogusto vagamente mazziniano – il MACRO (Museo d’Arte Contemporanea Roma) celebra fino al 6 settembre p.v. il centenario della nascita di un grande artista del secondo novecento italiano ed internazionale: Toti Scialoja.  

La mostra “100 Scialoja. Azione e Pensiero” è ospitata nelle sede del Museo di via Nizza 138, all’interno del totalmente ristrutturato ex stabilimento Peroni, il cui straordinario completamento architettonico si deve ad Odile Deck. Ed è tutta costruita – nelle varie sezioni che la compongono – sugli ‘Scialoja di Scialoja’, ovvero le opere provenienti dalla Fondazione Toti Scialoja che la moglie Gabriella Drudi – compagna di una vita – ha costituito l’anno successivo alla morte dell’artista.  

“Azione e Pensiero”: due parole molto care all’artista romano – classe 1914 – scomparso nel 1998. Ed è proprio il moto pendolare tra questi due termini a dare l’impronta alla originale e del tutto autonoma esperienza artistica di Scialoja puntualmente verificata dalla curatela scientifica della mostra. Che, estremamente varia, esibisce peraltro una accorta acribia filologica nel testimoniare le componenti del personaggio ed il suo lavoro esposto. Scialoja è stato certamente pittore – e grande – ma anche letterato, poeta, scrittore di una scrittura ponte tra poesia, poesia visiva – le ricerche degli anni ’60 tra Lamberto Pignotti ed Emilio Villa – narrazione letteraria e letteratura per l’infanzia ilare ed ironico costruttore di limericks – tra Edward Lear ed il Rodari del cap. 12 della Grammatica della Fantasia – e i Versi del senso perso così accortamente esaminati in catalogo da Luca Serianni nelle Stratigrafie della lingua poetica: La stanza La stizza L’astuzia.  

E poi scenografo ed allestitore, ‘uomo di teatro’ tra i ruderi di Gibellina assieme al bianco Cretto collinare di Burri: tutti i bozzetti e gli studi in mostra. Ed i pionieristici programmi – rivederli al Macro in bianco e nero fa un particolarissimo effetto – per la TV dei ragazzi: da Le fiabe dell’albero ( 1974) – sue le scene ed i costumi per preparare l’incontro tra il teatro di prosa, i suoi narratori – parliamo di Bruno Cirino, Ottavia Piccolo, Milena Vukotic, Sergio Fantoni, Giuliana Lojodice etc. – ed i bambini; alle non concluse Fiabe Bianche con Calvino; al mitico Fantaghirò, 12 puntate realizzate dal Centro di produzione RAI di Torino con un improbabile e giovanissimo Toni Esposito naturalmente alle percussioni.  

Ed anche la non mai dimenticata esperienza didattica in Accademia fino al 1960; poi il fondamentale soggiorno americano e quello parigino; e di nuovo le cattedre prima al Liceo Artistico di via Ripetta e poi Direttore all’ Accademia di Belle Arti di Roma con le mai dome battaglie sulla riforma delle istituzioni accademiche. Chi ricorda le coeve pubblicazioni della ineunte collana di Feltrinelli?

A lungo bisognerebbe soffermarsi sul registro della sua pittura. Dagli esordi figurativi degli anni Quaranta di consapevole matrice espressionista e qualche esito costruttivista alle leggendarie serie delle Impronte, la sua cifra stilistica di convinta e coerente adesione all’astrattismo; al concreto aniconismo minimal delle strutture cromatiche verticali dei ’70; fino alla – passando per i meravigliosi libri d’artista – straordinaria risoluzione formale e libertà espressiva completa gesto/segno dei grandi vinilici su tela degli anni ’90.  

Ma qualche attenzione bisogna pur riservare al suo bellissimo fondo d’artista. Insomma un patrimonio, un lascito personale dovuto agli scambi alle solidarietà con i colleghi – l’arte facilita la convivenza! – ai regali, ai viaggi, insomma a quel continuo ed inesausto incontro col donatore (di proppiana memoria) che ha contribuito a costituire la propria collezione privata.  

Pezzi incredibili. Una plastica di Mirko Basaldella e le sculture di Melotti. Stabile di Calder – e le sue tempere! – e camei di Burri – un fantastico 6,5x4,4 centimetri – e poi un liquido Corpora ed i De Kooning, i Leoncillo, i Morandi…: una imperdibile sinossi dell’arte della seconda metà del Novecento. Due lavori ancora valgono tutto: un olio bianco, monocromo con matita di Cy Twombly; ed una acquatinta di Robert Motherwell in arancio e nero. Quest’ultima in particolare offre l’occasione tra l’altro per un calibrato ed opportuno riscontro con l’opera di un grande maestro cinese: Fan Zeng (Repubblica Popolare Cinese, 1938) attualmente in mostra sempre a Roma (Complesso del Vittoriano fino al 27 settembre). La sua arte – anche qui ponte tra poesia, pittura e calligrafia – esplode al secondo piano di codesta esposizione in una incredibile serie di tredici grandi pannelli arancio con segni neri ed altri in blu bianco e nero. La sinfonia delle civiltà: il vento dell’est (forse tramite Gastone Novelli, L’Oriente risplende di rosso) l’ha riportata a Scialoja.  

Ha scritto Picasso: “Per diventare giovani, veramente giovani, ci vuole tempo”.
Toti (Antonio) Scialoja - un po’ come Mirò - ha veramente concluso la sua parabola con una ineguagliata freschezza creativa.  

 

18/08/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: @Emanuela Zibordi su www.flickr.com , licenza CC https://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/2.0/

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Paolo Cellamare
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