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La politica USA in Ucraina porta il nome di Victoria Nuland

Considerazioni inattuali n.63.
La cortina di ferro della NATO sui confini storici della Russia e la “war by proxy” di Obama vanificano la soluzione diplomatica di Angela Merkel.


La politica USA in Ucraina porta il nome di Victoria Nuland

Considerazioni inattuali n.63.
La cortina di ferro della NATO sui confini storici della Russia e la “war by proxy” di Obama vanificano la soluzione diplomatica di Angela Merkel. 

di Lucio Manisco 

La versione economica della “Mutual Assured Distruction” non ha finora raggiunto i risultati voluti da Washington che punta oggi su una guerra regionale come quella che piegò l’URSS di Brezhnev in Afghanistan.
Dopo la conferenza di Minsk appare improbabile un accordo che risolva in termini duraturi e definitivi la crisi ucraina. Probabile e possibile invece un successo parziale, a breve termine, dell’iniziativa diplomatica del cancelliere tedesco Angela Merkel che porti ad una tregua sul terreno dei combattimenti in corso tra l’imbelle esercito di Kiev, le agguerrite e motivate forze degli insorti russofoni: una tregua di tre o quattro mesi che permetta al presidente degli Stati Uniti di mantenere il suo impegno, ribadito il 9 febbraio a Washington, di fornire al regime neo-nazista ucraino quelle “armi letali di difesa” – missili a breve e media gittata, droni, sistemi campali radar, blindati, aviogetti F-16 e F-18 – il cui impiego richiede addestramenti più o meno prolungati e controlli “esterni” tali da impedire che cadano in mano agli avversari come accaduto in Iraq a vantaggio dell’ISIS. 

E’ altresì probabile che una tregua del genere possa interessare Vladimir Putin: prendere cioè tempo per programmare strategie alternative, sfruttare le divergenze tra Europa e Stati Uniti, presentarsi all’opinione pubblica mondiale come uomo di pace di fronte ad un premio Nobel per la pace che vuole la guerra e alleggerire quelle sanzioni che hanno inferto duri colpi all’economia russa. Sanzioni che Michael Brenner, professore di “affari internazionali” all’Università di Pittsburgh, ha definito “una versione economica della dottrina Mutual Assured Distruction”. La dottrina della Reciproca e Certa Distruzione ha contribuito a scongiurare un conflitto termonucleare e la devastazione del pianeta ma ha anche portato al dissanguamento dell’URSS nella corsa agli armamenti. Il colpo finale è stato comunque inflitto alla potenza nemica degli Stati Uniti con la dispendiosa sconfitta in Afghanistan, a seguito di una guerra regionale o war by proxy, combattuta cioè da “delegati” o “terzi” armati e finanziati da Washington. 

Anche se il pericolo di un conflitto mondiale innescato “per errore” in Ucraina, quello che ha allarmato gli Hollande e i Gorbachev, non può essere del tutto ignorato, è pur vero che non vuole certo essere corso dalla Federazione Russa e tanto meno dagli Stati Uniti, il cui governo è insoddisfatto dall’esito delle sanzioni finora promosse, intende incrementarle con l’abbattimento continuo del prezzo del greggio concordato con i fedeli, fino ad un certo punto, sudditi sauditi, ma persegue un obiettivo di fondo, oltre alla “war by proxy” in Ucraina, sulla falsariga di quella di trentacinque anni fa in Afghanistan, e il completamento dell’accerchiamento ravvicinato della Nato a ridosso del territorio avversario (nuovi “centri di comando e controllo” con personale USA sono stati installati negli ultimi sei mesi in Polonia, Estonia, Lituania, Bulgaria e Romania, esercitazioni militari vengono tuttora condotte a poche decine di chilometri dai confini russi e una dozzina di caccia bombardieri è stata inviata dall’Arsenale delle domocrazie per potenziare le aeronautiche militari di questi paesi).
Perché, come ha asserito l’inossidabile segretario di stato agli esteri John Kerry, Putin sta violando i più sacri trattati internazionali macchiandosi del grave reato di modifica delle frontiere (il caso Crimea è stato accantonato per le torbide e terroristiche azioni di Kiev volte ad estromettere la Russia dalla sua più importante base navale, ad essa concessa come contropartita dell’indipendenza dell’Ucraina e della sua rinunzia a 1.900 testate nucleari).

I fatti su citati vengono sottaciuti, falsificati o del tutto ignorati dai mass media statunitensi e con qualche rara eccezione da quelli europei in base alla fallosa parafrasi della “Etica latitante e lo spirito del giornalismo”: in prima fila negli attacchi a Putin i vecchi arnesi e i cavalli da tiro nei campi fin troppo arati dell’anticomunismo (quale comunismo?); volano le analogie tra Angela Merkel a Minsk e Neville Chamberlain a Monaco con qualche velata critica fuori testo a Barak Obama per via dei suoi bisticci con Netanyahu. E trionfa ovunque la cancellazione della memoria: non per nulla Gore Vidal chiamava il suo paese natale “Gli Stati Uniti dell’Amnesia”. 

Un esempio lampante è l’oblio che ha colpito i mass media nei confronti di un personaggio fondamentale, un vero pilastro della politica estera e militare del Grande Impero d’Occidente nei rapporti con la Russia e con l’Europa, la signora Victoria Nuland, inamovibile al Dipartimento di Stato nel corso di quattro amministrazioni repubblicane e democratiche con incarichi di primissimo piano, da capo dello staff a primo consigliere del vice-presidente Dick Cheney, da ambasciatore permanente presso la Nato e inviato speciale su nomina di Obama per il trattato sulle forze convenzionali in Europa a portavoce del dicastero degli esteri, da assistente segretario di stato fino ad un incarico diplomatico speciale in Ucraina nel 2013 e 2014, incarico confermato per l’anno corrente con l’allargamento dei suoi compiti ai Balcani, alla Grecia e alla Turchia. L’oblio è incomprensibile o forse troppo comprensibile per un incidente diplomatico che la coinvolse direttamente quando venne intercettata e pubblicata una sua conversazione telefonica con l’ambasciatore USA a Kiev Geoffrey Pyatt del 28 gennaio 2014. All’ipotesi di una mediazione dell’Unione Europea sulla crisi appena esplosa con la protesta contro il presidente Viktor Yanukovych che si opponeva all’ingresso del suo paese nell’Unione Europea e inevitabilmente nella Nato, l’ineffabile diplomatica aveva replicato: “Fuck the EU!” (L’EU vada a farsi fottere) e l’interlocutore aveva commentato “Exactly” (giusto). Comprensibile l’irritazione di chi avrebbe dovuto andare a... Angela Merkel: “Assolutamente inaccettabile”. Il Presidente del Consiglio Europe Van Rumpuy “inammissibile”. 

Ma a creare un certo imbarazzo a Washington non furono le escandescenze della signora, bensì nella stessa telefonata la sua scelta dei nuovi ministri e del nuovo presidente subito dopo la defenestrazione del predecessore che era stato democraticamente eletto dal popolo ucraino. Un predecessore, questo Yanukovitch, indubbiamente corrotto nella tradizione cleptocratica del suo paese, ma sempre meglio dei fascisti, neonazisti e razzisti esecutori di un colpo di stato che aveva permesso loro di inviare al governo alcuni malfamati esponenti.
La rivelazione che era stata la signora Nuland a fomentare la crisi, a imporre un governo gradito a Washington e a gettare così benzina sul fuoco della guerra finora fredda contro la Russia smentiva clamorosamente la tesi ufficiale di sviluppi autoctoni, democratici e popolari che avevano portato al conflitto contro gli insorti finanziati ed armati da Putin. Da ciò la denunzia riportata dalla stampa, in primis dal «New York Times», di ben cinque inesistenti invasioni di reparti corazzati russi in Ucraina. Da ciò l’oblio dei mass media sul caso Nuland. 

In difesa della signora va detto che ha rappresentato e fedelmente applicato ieri come oggi le direttive espansionistiche del Grande Impero perseguite da tutte le amministrazioni negli Stati Uniti, le ferree direttive formulate sin dai tempi del Presidente George H. Bush senior da Paul Wolfovitz, teorico dell’egemonia statunitense da perseguire con ogni mezzo lecito e illecito: “Gli Stati Uniti non tollereranno mai che nazioni alleate, amiche o nemiche sfidino il nostro primato politico, economico e militare sul mondo intero”. 

Abbiamo conosciuto nel 1989 il padre della signora, Sherwin B. Nuland, chirurgo e scienziato di chiara fama che aveva dedicato gli ultimi anni della sua vita allo studio del destino di tutti noi, la morte. La sua opera How we die, “Come noi moriamo”, è stata tradotta in una ventina di lingue. Non credo che andasse d’accordo con Victoria e oggi quell’opera sembra un cupo vademecum su un’ancora improbabile, indecoroso, umiliante decesso dell’intera umanità provocato dagli Stranamore domiciliati alla Casa Bianca e al Dipartimento di Stato e presenti in numero più ristretto al Cremlino. 

12/02/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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Lucio Manisco
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